martedì 9 novembre 2010

La guerra del cerino ... e del cerone

Molla, non molla, questo è il dilemma. Dilemma amletico attualizzato che sta tenendo col fiato sospeso l'Italia, o almeno quella parte di italiani che ancora si appassionano alle vicende politiche dalle quali dipendono le sorti di questo Paese (e non è questione da poco).
Chi deve "mollare" non è ancora chiaro; se il Presidente della Camera Fini, decidendosi finalmente a staccare la spina e togliere la corrente che tiene in vita il Governo; o se debba mollare, dando le dimissioni, il premier Berlusconi, ulteriormente squalificato dalle ultime vicende personali di gossip (caso della procace minorenne marocchina Ruby "salvata" dalle sue telefonate in Questura, ragazze a vagonate portate a casa sua da tal Lele Mora, plaudente Emilio Fede ...) e di fatto senza maggioranza in Parlamento, dopo le sonore bordate di critiche che lo stesso Fini ha sparato domenica scorsa contro la sua politica, arrivando a chiedere esplicitamente le sue dimissioni, tra gli applausi scroscianti dei sostenitori di "Futuro e Libertà" neonato partito uscito dalla costola del PDL ormai defunto.
Richiesta ovviamente respinta dall'interessato che "non può dimettersi" dalla carica per non perdere gli "scudi" e i "lodi" protettivi nei confronti della magistratura di cui si era premunito. Pertanto tiene duro fino all'inverosimile per non finire, come dovrebbe, in un'aula di tribunale a difendersi da varie accuse, con qualche ragionevole probabilità di perdere.
Fini pure tiene duro nelle sue richieste, di dimissioni e di cambiamento, ma vuole che a staccare la spina sia lo stesso Berlusconi, per non dover andare a nuove elezioni con la responsabilità personale di aver fatto cadere il governo in un momento così delicato per l'Italia.
Insomma è una lotta all'ultimo sangue (metaforico, ovviamente), o un gara a braccio di ferro, la cui posta in gioco è un cerino acceso da lasciare per ultimo in mano all'avversario, perchè sia lui a bruciarsi le dita ( e, se tocca a Berlusconi, a sciogliersi pure il cerone che gli copre la faccia).

Tenta di resistere pure Bossi, aggrappato a Berlusconi come l'edera, nella speranza di fare in tempo a "portare a casa il federalismo", e ne parla come se si trattasse di portare a casa un prosciutto dal mercato, come premio e pagamento di un patto di fedeltà quindicinale.

Cosa "portiamo a casa" noi dall'alleanza di questa strana coppia è sotto gli occhi di tutti. Il Veneto "del fare" (tanta speculazione edilizia e cementificazione) sott'acqua da alluvione, e il crollo della casa dei gladiatori a Pompei, monumento di insostituibile valore storico-culturale, sono solo gli ultimi fatti simbolici del degrado e della crisi italiana. Un federalismo fatto in fretta e furia da un governo "in articulo mortis" e senza maggioranza, credo sarebbe un pessimo affare per tutti.
Intanto le cosiddette "opposizioni" si guardano bene dal fare fronte comune per coglier l'occasione delle divisioni altrui e mostrarsi capaci di costituire un'alternativa credibile, e procedono come sempre, anzi, più che mai, in ordine sparso, l'una contro l'altra armate: UDC, IDV, Sinistra e Libertà, Comunisti, Grillini, Radicali, API di Rutelli, e, dulcis in fundo, un PD diviso in tre o quattro , tra Area democratica, cattolici di osservanza o di distanza dai vescovi, veltroniani, rottamatori di Renzi e Civati, dalemiani nascosti tra i fedelissimi di un Bersani che non riesce a tenere le fila di un partito, sono impegnati in una guerra di posizioni personali che non può che portare ad una sconfitta per tutti.
-- In compenso va a gonfie vele il partito più resistente d'Italia:
il Partito Episcopale Cattolico Italiano, l'unico partito che sa quello che vuole in Italia, partito di governo e di opposizione a seconda delle convenienze, meglio conosciuto anche come CEI, Conferenza Episcopale italiana, il cui segretario, cardinal Angelo Bagnasco, ha dettato l'altro ieri l'agenda con le istruzioni mensili per il Governo e la classe politica italiana. E stavolta, più che istruzioni, ha dato una bella lezione zeppa di rimproveri e bacchettate al governo Berlusconi, un tempo blandito e sostenuto come provvidenziale.

Per l’Italia, "non è più tempo di galleggiare" ha affermato Bagnasco aprendo ad Assisi l’Assemblea straordinaria dell’Episcopato Italiano.
"Nel nostro animo di sacerdoti siamo angustiati per l’Italia che scorgiamo come inceppata nei suoi meccanismi decisionali, mentre il Paese appare attonito e guarda disorientato".....
"Non abbiamo peraltro suggerimenti tecnico-politici da offrire, salvo un invito sempre più accorato e pressante a cambiare registri, a fare tutti uno scatto in avanti concreto e stabile verso soluzioni utili al Paese e il più possibile condivise".
I vescovi italiani denunciano una "caduta di qualità sulla scena politica" che chiama in causa "non solo la dimensione tecnicamente politico-amministrativa, ma anche quella culturale e morale che ne è, a sua volta, lo specifico orizzonte". E rilevano " il venir meno della tensione necessaria tra ideali personali, valori oggettivi e la vita vissuta", che sono "tra loro profondamente intrecciati".
E via di questo passo. Ma non solo.
Ieri su Avvenire, quotidiano dei vescovi italiani, il nuovo direttore ha già cominciato a bacchettare anche Fini, troppo laico e "anticlericale" per i loro gusti, e ha sostanzialmente diffidato i cattolici, e in primo luogo l'UDC di Casini, dall'allearsi con lui. O nelle urne saran dolori per loro.
Ognuno ne tragga le conseguenze che preferisce.
(*) L'illustrazione à stata ripresa da Il Fatto quotidiano

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